Il sacrificio non è una virtù ma una condizione. Se una persona cade in un fosso, deve fare di tutto per uscirne, anche se questo gli costa sacrificio. Il sacrificio quindi è uno strumento, un mezzo che liberamente scegliamo per ottenere un risultato. Il sacrificio, quando proprio non possiamo evitarlo, serve sempre e solo per un bene superiore al quale noi desideriamo arrivare. Il sacrificio fine a se stesso è un malinteso, una erronea valutazione, è la paralisi a metà percorso che impedisce di andare avanti fino al raggiungimento del vero obiettivo: la gioia.

La Pasqua appena iniziata e che durerà otto giorni, perché un passaggio richiede un tempo, culminerà nella festa della Misericordia che è la festa dell’amore incondizionato. Il sentimento che deriva dal passaggio è sicuramente la gioia, unica vera virtù alla quale dobbiamo anelare con tutto noi stessi. La gioia, che non è semplicemente euforia che ci spinge alla superficie di noi stessi, è una gioia nella pace e nell’amore che ci mette in un contatto autentico con noi stessi, con l’altro, col mondo, in una continuità di vita.

La Quaresima, che precede la Pasqua come periodo di preparazione e discernimento, ci invita con i suoi precetti ed i suoi riti a ricordare e sperimentare altre dimensioni del nostro esistere che non siano vincolate agli automatismi ed alle dipendenze. Il digiuno più importante non è quello dai cibi, ma dalle proprie idee. Non perché le nostre idee siano necessariamente sbagliate, ma perché abbiamo bisogno di vivere a di là delle nostre convinzioni per essere capaci di non dipenderne troppo.

Più importante delle idee della mente sono le esperienze del cuore. La mente ed il cuore uniti conducono alla gioia. Il sacrificio deriva dalla mente separata dal cuore.

Durante i riti della Settimana Santa non solo ricordiamo il Gesù storico ma sperimentiamo tutti i nostri limiti come esseri umani. Questa esperienza prelude la comprensione della Misericordia. Spero di non venire frainteso, ma osservando l’esecuzione dei riti a volte sembra di assistere ad una commedia. Questo giudizio ovviamente non esprime la profondità con cui realmente le singole persone che vi partecipano possono riuscire a vivere dentro di sé. A volte, l’esecuzione dei riti ricorda un pochino quello che accade nei raduni dei motociclisti, quando il focus della manifestazione, oltre alla socialità, è la moto stessa. Ogni tanto qualcuno manda al massimo dei giri il motore, con la moto ferma in folle, immergendosi dentro il rumore assordante che non è altro che la polarità opposta del vuoto assordante che vive dentro se stesso.

Il focus dell’esperienza della Quaresima è la gioia. Quando diventa il sacrificio, ci immergiamo nel vuoto esistenziale che troviamo dentro noi stessi come condizione umana. Nessun sacrificio può essere fine a se stesso. Nessun sacrificio può avere un senso se lo subiamo. Quando invece lo scegliamo, è perché abbiamo già raggiunto la consapevolezza del bene profondo e della gioia che in esso sono racchiusi. Potremmo provocatoriamente dire quindi che il sacrificio non esiste. Ogni sacrificio infatti racchiude in sè un sentimento di speranza e di gioia. E’ da questa gioia che dovrebbe partire la scelta del sacrificio.

Sacrificio (sacrum facere) non può essere solo sofferenza ma è rendere prezioso ciò che facciamo. Dietro ciò che appare c’è qualcosa di nascosto, che a volte solo noi conosciamo. E il mistero del nostro esistere è orientato alla gioia senza fine. E questa gioia è talmente bella da vivere che giustifica le fatiche di alcuni tratti del nostro cammino terreno.